STORIA

Origini

Gia a partire dal 1600 le origini di questo antico popolo sono state oggetto di studio per molti storici, sia da parte italiana che da parte tedesca. Essi cercarono di ricostruire i tempi e le provenienze di individui e di gruppi che si sono stabiliti sui nostri monti per “roncare” e bonificare terreni e per costruire un ambiente con una tradizione di vita povera, ma segnata da particolari valori di lingua e cultura. Tra le varie ipotesi formulate, quella ritenuta più attendibile faceva risalire al 101 a.C. la data di stanziamento di tali popolazioni. Si ritenne, infatti, di riconoscere nei Cimbri (popolazione di stirpe germanica) i loro predecessori. Questo popolo, dopo aver sconfitto nel 102 a.C. i romani a Trento, venne dagli stessi annientato l’anno successivo, ai “Campi Raudi” (forse nei pressi di Vercelli). I pochi sopravvissuti avrebbero cercato rifugio sulle Alpi e Prealpi venete e trentine. Tale ipotesi però venne poi confutata attraverso lo studio della lingua (il linguaggio è sicuramente il documento più importante per stabilire l’età e le origini di un popolo), che riconosceva nella lingua cimbra un tedesco medioevale nella versione
bavarese. Documentate, inoltre, sono le ondate migratorie del XI-XII secolo di gente bavarese verso quelli che più tardi diverranno
gli altipiani dei Sette Comuni Vicentini e dei Tredici Comuni Veronesi, dove sicuramente a quell’epoca vivevano popolazioni longobarde ormai romanizzate. Da allora il contatto con la madrepatria si è interrotto per cui le due lingue, tedesca e cimbra, si
sono sempre più differenziate, avendo ciascuna un’evoluzione autonoma.
Tali insediamenti si svilupparono al punto che già nel 1200 il principe vescovo di Trento Friedrich von Wangen (italianizzato in Federico Vanga), nella sua politica di colonizzazione della alture disabitate o scarsamente abitate ad Est dell’Adige, poté trapiantare dei coloni dagli altipiani del Sette e Tredici Comuni sull’altopiano denominato “Costa Cartura”, che si estendeva da Centa San Nicolò a Folgaria. Un secolo più tardi l’aumento demografico, particolarmente elevato grazie anche a successive ondate migratorie, spinse alcune famiglie delle località limitrofe a trasferirsi, come livellari della Parrocchia di Santa Maria di Brancafora, sull’altipiano di Luserna.

LA STORIA RECENTE

L’altopiano di Luserna, utilizzato inizialmente come pascolo alpino, si avviava così a divenire gradualmente un piccolo centro montano abitato stabilmente. Successivamente tra gli abitanti dell’Onoranda Vicinia di Luserna e quelli della Magnifica Comunità di Lavarone iniziarono delle dispute per i confini e per l’autonomia amministrativa, le quali portarono alla separazione delle due comunità il 4 agosto 1780.
Dai circa 250 abitanti di allora Luserna arrivò ai 1200 del primo dopoguerra; la prima metà del secolo rappresentò però il periodo più buio della storia della comunità; nel 1911, infatti, uno spaventoso incendio distrusse gran parte del centro abitato e, quattro anni più tardi, tutti i civili furono evacuati in Boemia a causa dello scoppio della “Grande Guerra”, il paese fu nuovamente distrutto e l’esito del conflitto determinò grossi cambiamenti socio-culturali all’interno della piccola comunità.
Nel 1942, nell’ottica di una italianizzazione forzata dei territori annessi all’Italia dopo il primo conflitto mondiale, Luserna fu interessata dal fenomeno delle “opzioni”. Con tale termine si indicava la facoltà di scelta concessa agli abitanti di lingua tedesca del sudtirolo e delle zone mistilingue delle allora Tre Venezie di rimanere cittadini italiani – rinunciando alla propria lingua materna e tradizioni secolari – oppure trasferirsi nel III Reich. Dei circa ottocento abitanti dell’epoca optarono 373 persone, delle quali metà lasciò il paese.

Prima Guerra Mondiale

Già dagli inizi del 1900 era possibile intuire chiaramente lo stato di conflittualità e tensione che contrassegnava i rapporti diplomatici tra il Regno d’ Italia e l’Impero Austroungarico e la probabilità dello scoppio di uno scontro armato. Luserna e l’alta Val d’Astico, appartenendo all’Impero Autroungarico ed essendo linea di confine tra Austria e Italia, si trovarono, a partire dal  1908,  protagoniste dell’avvio di un  progetto voluto dal governo di Vienna che prevedeva la costruzione di un’ imponente linea di fortificazione. Fu così che tra Folgaria e Vezzena furono erette sette imponenti opere: Cima Vezzena, Verle, Forte Campo Lusern, Forte Belvedere, Cherle, Sommo Alto, Dosso delle Somme. La parte italiana costruì  invece nella zona dei Fiorentini i forti Verena, Campolongo e Campomolon.

 

La  costruzione del Forte Lusérn rappresentò  per gli abitanti di Luserna una notevole fonte di guadagno, in quanto negli anni  tra il 1908 e il 1912 tutta la popolazione fu impiegata nella realizzazione dell’opera e questo contribuì a portare  nel paese un certo grado di benessere, anche se destinato presto a cessare a causa degli eventi bellici che si sarebbero a breve manifestati. Nonostante il Forte Lusern fosse il più imponente tra tutte le altre fortificazioni ( chiamato anche “Il Padreterno” proprio per la sua poderosa mole) , si trovò in gravi difficoltà sin dai primi giorni di guerra, anche perché occupava un’area  molto delicata  e strategica e si ritrovò quindi ad essere il più bombardato dal fronte italiano.  E fu proprio dopo un pesante bombardamento associato al  pericolo che le granate di grosso calibro potessero colpire i depositi di carburante, che sotto l’ordine del comandante Emanuel Nebesar, un boemo, venne alzata bandiera bianca. La decisione non fu accolta dalle altre fortificazioni austriache, e dopo il coraggioso e simbolico gesto di un volontario che si preoccupò di togliere la bandiera bianca, il Forte Lusern venne rioccupato dagli austriaci, fino all’offensiva del maggio 1916, quando il fronte di guerra si spostò.

 

Gli abitanti di Luserna dovettero abbandonare il paese sotto i bombardamenti e portarono con sè solo lo stretto necessario. Trovarono rifugio in Aussig nella Boemia Settentrionale, suddivisi nei paesi del distretto e solo nell’inverno del 1919 poterono tornare in patria

 

Dopo tre anni di conflitto, l’abitato di Luserna risultava completamente distrutto, e si dovette quindi provvedere alla ricostruzione totale degli edifici. Il Governo italiano fornì dei sussidi, e per i Luserni che furono in grado di svolgere questo lavoro l’opera di ricostruzione fu motivo di continuità lavorativa almeno per alcuni anni.

Opzioni

Gli abitanti di Luserna, pur non essendo compresi nei “Territori dell’accordo” (ne facevano parte la provincia di Bolzano; le zone mistilingue di Cortina d’Ampezzo e di Tarvisio), poterono, in seguito ad accordi verbali intercorsi, nel dicembre 1939, fra il segretario di Stato Buffarini Guidi e il capo della delegazione germanica in Bolzano Wilhelm Luig, esercitare anch’essi il diritto di opzione per la cittadinanza germanica.

In base a tale accordo il traasferimento degli abitanti di Luserna doveva essere intrapreso soltanto dopo l’emigrazione di tutti gli optanti sudtirolesi. Contrariamente a ciò, nel gennaio 1940 Wilhelm Luig predispose un piano nel quale il trasferimento dei lusernesi avrebbe dovuto servire come banco di prova per una successiva emigrazione dei sudtirolesi. Il piano di Luig si arenò in quanto, nello stesso momento il governatore distrettuale di Lienz richiese muratori da Luserna per realizzare nel suo distretto gli edifici destinati ai sudtirolesi. Nemmeno l’ADERST (Amtliche Deutsche Ein und Rickwanderstelle – ufficio germanico per l’immigrazione e il rimpatrio), della quale Luig era direttore, seguì il tale progetto.

Sul finire degli anni Trenta, in un clima caratterizzato da sempre più ferventi nazionalismi, il Segretario di Stato Buffarini Guido e il console generale tedesco Otto Bene raggiunsero nel giugno del 1939 degli accordi per far si che le popolazioni Sudtirolesi e di madrelingua tedesca residenti in località ormai divenute italiane potessero optare per la Germania. Optare per la Germania voleva dire lasciare la propria terra e le proprie tradizioni, per trasferirsi nelle terre del III Reich, acquisendo così la cittadinanza tedesca.

Da subito ci furono i trasferimenti degli optanti Sudtirolesi, e successivamente  furono introdotti nell’accordo anche gli abitanti di  Luserna e della  Val del Mocheni. Venne promesso agli optanti che qualsiasi tipo di immobile o bene di proprietà lasciato in patria, sarebbe poi stato sostituito con altrettanti beni aventi lo stesso valore una volta arrivati in Germania. Gli optanti della comunità cimbra furono 408,  quelli della Val dei Mocheni 830. Wilhelm Luig ( nominato a capo del gruppo per il trasferimento delle due comunità), aveva intenzione di trasferire in blocco i Luserni e i Mocheni nell’autunno del 1941, ma  gli optanti si rifiutarono di partire  durante la stagione invernale, anche per non vanificare le provviste già accumulate per superare l’inverno. Il trasferimento delle due comunità avvenne quindi nella primavera del 1942 e la destinazione fu il campo di Hallein, nei pressi di  Salisburgo. Si generò da subito un clima di malessere, causato anche dalla precaria sistemazione in baracche, che rese necessario nell’estate del ‘42 uno spostamento delle comunità in alcune fattorie nei pressi di Cèske Budèjivice, in Boemia. La situazione tuttavia non migliorò completamente, in quanto tali fattorie furono semplicemente date in gestione, e non cedute in proprietà alle famiglie come promesso; persino i prodotti ricavati non erano proprietà dell’emigrante, ma appartenevano allo stato tedesco.

Budweis  Germania nel 1939

L’8 maggio 1945, dopo tre anni passati in queste località e senza aver ricevuto niente di quanto promesso, 91 Luserni fuggirono dalle fattorie e contando solo sulle proprie forze, dopo un viaggio lungo e molto stressante, nell’estate del 1945,  tornarono a Luserna. Era a questo punto necessario riprendersi le  case lasciate tre anni prima in mano alla Società fiduciaria germanica di Liquidazione di Bolzano. Passati circa quattro anni ( e dopo non pochi intoppi burocratici), le famiglie si riappropriarono di parte dei  propri beni, chiedendo successivamente al Governo tedesco un risarcimento per i danni subiti (per il quale si dovette attendere fino alla metà circa degli anni ’60).

Emigrazioni

Purtroppo un’analisi approfondita e precisa del fenomeno migratorio riguardante la popolazione di Luserna è pressoché impossibile, data la mancanza di fonti e documentazioni che ne possano attestare l’entità e le peculiarità.
L’emigrazione stagionale estiva ha caratterizzato la comunità di Luserna ed ha avuto un forte sviluppo soprattutto a partire dalla seconda metà del XIX° secolo; l’emigrazione permanente può invece essere considerata un fenomeno praticamente nullo o comunque di scarso peso.
Tutta la forza-lavoro maschile del paese aveva l’abitudine (ma più che altro la necessità) di spostarsi stagionalmente per poter esercitare l’attività di muratore e scalpellino.
I luoghi verso cui erano diretti erano in particolare il Tirolo, l’Austria, la Baviera e la Sassonia, ma anche la Francia e la Svizzera soprattutto per il decennio 1929-1939. Lo sviluppo delle infrastrutture (ferrovie e strade) influenzò l’emigrazione sia per quanto riguarda la scelta della meta sia a causa della relativa richiesta di manodopera che la realizzazione stessa di queste infrastrutture andava a creare e che spingeva quindi a trasferirsi in quei luoghi.
Il reclutamento del personale avveniva in due modi: o attraverso un organo / ente apposito, il quale diffondeva tutte le informazioni fornite dal datore di lavoro che ricercava manodopera, oppure tramite un fenomeno chiamato “concatenazione” e cioè per mezzo di una sorta di “passaparola” tra persone già emigrate e potenziali emigranti. In questo modo si portava nuova forza lavoro in un luogo già meta di precedenti emigrazioni, favorendo così anche l’integrazione e la socializzazione nel nuovo ambiente.

Oggi

Oggi, Luserna, ultima comunità di lingua cimbra, rappresenta un ponte fra passato e presente, “a lånt aus vo dar zait”, che ha conservato nei secoli l’atmosfera cordiale di un piccolo paese di montagna, dove e cultura e natura si intrecciano con tradizioni e gastronomia.
Negli ultimi anni Luserna sta vivendo un periodo di rinnovato sviluppo economico e sociale: grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro, e con l’avvento delle nuove tecnologie, ora non è più così isolata come un tempo, è minore la necessità delle famiglie di doversi spostare per lavoro, e comunque riesce a mantenere le sue peculiarità di ISOLA LINGUISTICA.

MONUMENTI

Capitello di S.Antonio da Padova

Situato in località Baiti/Hüttn, questo monumento è una fedele ricostruzione della basilica di S.Antonio a Padova, “IL SANTO”.
Testimonia il forte legame della comunità cimbra con questo frate francescano, e con S.Maria: diverse statue e raffigurazioni di quest’ultima si trovano infatti in molti angoli del paese e lungo i sentieri.

Chiesa di S. Antonio da Padova

La chiesa di Sant’Antonio da Padova è la parrocchiale di Luserna, fa parte della zona pastorale della Valsugana e di Primiero e risale al XX secolo.
La primitiva chiesa di Luserna, che era dedicata a santa Giustina, sorse affacciata sulla piazza del borgo nel 1711. Era sussidiaria della pieve di Santa Maria Assunta di Brancafora ed era compresa nella diocesi di Padova.

Cimitero di Costalta [da sito CDL]

Il cimitero si trova in un luogo ameno, immerso nella natura, a circa 1500 metri di quota, a lato della strada che collega il paese “cimbro” di Luserna con il Passo Vezzena, antico confine tra Regno d’Italia e Impero austro – ungarico.
Il cimitero ha una storia piuttosto particolare: sorto alla fine del maggio 1915, subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, fu smantellato nel 1921, con la riesumazione dei resti dei caduti sepolti e il loro trasporto nel grande ossario di Asiago.